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  • L’isola di Büyükada, una foto-storia in 15 scatti.

    Qualche anno fa ero in Turchia con degli amici e decidemmo di prendere un traghetto da Istanbul per visitare Büyükada, una piccola isola non lontano dalla capitale, famosa per essere stata un destinazione prediletta nel passato sia dagli artisti che dalla aristocrazia. Non ci sono veicoli motore nell’isola: una volta arrivati puoi scegliere di affittare bicicletta, andare a piedi o fare una corsa su una carrozza (solo alcuni del luogo hanno il motorino).

    Le carrozze, insieme alle spiagge, sono oggi la maggior attrazione di Büyükada. Decidemmo le carrozze come mezzo di trasporto per raggiungere una delle spiagge indicate dalla nostra guida. Durante la corse rimanemmo piacevolmente affascinati dall’esplosioni rosa e arancione delle buganvillee in fiore e dalle vecchie dimore ottomane in legno che rimandavano a un lussuoso e glorioso passato.

    Una volta giunti in cima alla collina scendemmo, circondati da boschetti di pini marittimi, dove io mi fermai a fare qualche foto di cavalli lasciati liberi nell’area, cercando di evocare uno stile poetico così come mi ero sentita durante la strada per arrivare fin lì.

    Ma rapidamente il mio umore cambiò. Realizzai che, nonostante le carrozze fossero pulite, lustre e colorate, i cavalli erano veramente magri e si evinceva facilmente la povertà dei loro guidatori. Iniziammo a camminare in una strada infuocata dal sole che attraversava quello che sembrava essere un arrangiato ricovero per cavalli, vicino a un magazzino dove si aggiustavano o costruivano queste carrozzelle. Quando arrivammo alla fine della strada sentii che non potevo proseguire per la spiaggia: mi sentivo troppo a disagio per andare a godermi il mare nonostante quello che avessi visto. Presi appuntamento con i miei amici e decisi di tornare indietro e cercare di sfogare il mio disagio facendo delle foto.

    La fotografia può essere una buona maniera per fissare un punto in ciò che sta accadendo, perché è esattamente quello di cui tratta: fissare un’immagine della realtà. E può risultare terapeutico mettere il punto fuori, invece di tenerselo solo per sé.

    Non potevo sentirmi peggio: l’atmosfera poetica della corsa sulla carrozza, le nostre risate e gli apprezzamenti per il posto erano scomparsi, lasciando un senso di pena per quella miseria. Mi incamminai in salita lungo la strada, entrai nella rimessa e comincia a chiacchierare un po’ con l’uomo che stava lavorando. Era molto timido e educato.

    Dopo proseguii per il ricovero dei cavalli, un’ area all’aperto con delle baracche sui lati, gli animali intenti a riposare in un grande terreno che era un vero letamaio di feci e sporcizia sotto il solleone di un mezzogiorno d’estate, con le costole che spingevano da un sottile strato di pelle, ricoperti di ferite e spruzzati con delle strisce colorate, il tutto in un’atmosfera davvero deprimente. Ho fatto foto di tutto quello che vedevo Ero molto triste per il contrasto che vedevo tra le carrozze, oggetti buffi e colorati, e questi poveri animali.

    Il climax l’ho raggiunto quando ho visto un uomo che ripetutamente picchiava un cavallo steso a terra con una pala per farlo alzare. Non c’è giudizio nel mio racconto, ma volevo condividere il destino di questi poveri animali e dei loro padroni.

    Ritornai in cima alla collina e feci qualche altra foto alle carrozze. Questa volta il mio occhio era completamente cambiato rispetto a come osservava questi veicoli e al significato loro attribuibile. Poi presi di nuovo una corsa verso il porto, in silenzio e da sola.

     

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